Stefano Vernole
Il Governo statunitense ha indirizzato accuse formali contro il presidente venezuelano Nicolás Maduro, indicato come colluso con il narcotraffico
All'inizio di agosto 2025, il quadro delle relazioni tra Washington e Caracas sembrava conoscere un inatteso miglioramento. La Casa Bianca aveva infatti prorogato la licenza a Chevron, consentendo alla compagnia nordamericana di continuare ad operare nel settore petrolifero venezuelano, e i due governi discutevano uno scambio di prigionieri che appariva come un segnale di disgelo dopo anni di ostilità. Questo fragile equilibrio è però durato pochissimo e nel giro di pochi giorni, le relazioni sono scivolate nuovamente in una fase di dura contrapposizione: il Governo statunitense ha indirizzato accuse formali contro il presidente venezuelano Nicolás Maduro, indicato come colluso con il narcotraffico. Si tratta della solita tattica degli Stati Uniti: prima fingono di corteggiare e concedere "credito" ai Governi "ostili", quando questi si aprono alla cooperazione con Washington, gli USA cercano di rovesciarli.
La Casa Bianca ha poi annunciato nuove misure di pressione militare tramite le Forze navali USA nel Golfo del Messico e il Caribe; la risposta del presidente venezuelano è stata immediata, con la promessa di mobilitare milioni di miliziani per difendere il Paese. In America Latina, il Messico ha subito respinto l'idea che vi siano prove concrete a sostegno delle accuse avanzate da Washington.
La svolta nell'escalation è arrivata con una serie di decisioni annunciate dall'Amministrazione Trump; lo scorso 8 agosto il Dipartimento di Stato ha raddoppiato la ricompensa per la cattura di Nicolás Maduro, portandola a 50 milioni di dollari, collegando il presidente venezuelano al cosiddetto "Cartel de los Soles", un'organizzazione criminale accusata di traffico internazionale di droga. Contestualmente, il Pentagono ha comunicato l'invio di tre cacciatorpediniere classe Aegis con capacità missilistiche nel Mar dei Caraibi - l'USS Gravely (DDG-107), l'USS Jason Dunham (DDG-109) e l'USS Sampson (DDG-102) - e un contingente di circa 4.000 militari, nell'ambito di una missione ufficialmente motivata come operazione contro i cartelli della droga. Al di là delle motivazioni dichiarate, questa mossa ha immediatamente assunto un valore politico e simbolico: il posizionamento di unità navali statunitensi in un'area così vicina alle coste venezuelane ha rappresentato un salto di qualità nella pressione esercitata da Washington. L'obiettivo non appare più soltanto economico o diplomatico, ma direttamente legato a una proiezione di forza che Maduro ha letto come un preludio a possibili azioni di destabilizzazione del Venezuela.
La reazione del Governo di Caracas è stata altrettanto netta. Maduro ha annunciato la mobilitazione di 4,5 milioni di membri della Milizia Nazionale, un corpo paramilitare istituito ai tempi di Hugo Chávez e progressivamente ampliato come strumento di difesa popolare. Lo stesso popolo venezuelano si è mobilitato: i pescatori pattugliano le coste caraibiche, gli operai si mobilitano nelle fabbriche, i contadini presidiano le zone rurali. Con il Venezuela si sono schierati i due alleati strategici, Cina e Russia, il gruppo dei Paesi ALBA, Bolivia, Cuba e Nicaragua, il CELAC, il Messico e la Colombia che condannano l'interventismo statunitense.
Trump ha firmato un decreto inviato al Pentagono dove si autorizzano interventi militari diretti in Paesi terzi con lo scopo di annientare le rotte della droga che arrivano negli States; azioni che non devono essere negoziate con i Governi dei rispettivi Paesi e che eludono qualsiasi norma del diritto internazionale marittimo, come dimostrato dal recente attacco missilistico statunitense che ha ucciso 11 persone nel Mar dei Caraibi: secondo Washington, la loro imbarcazione trasportava droga ma non è stata presentata alcuna prova al riguardo.
Il Governo messicano ha preso da tempo accorgimenti per rispondere alle "preoccupazioni" dell'Amministrazione Trump sul Fentanyl, dispiegando 10.000 soldati al confine con lo scopo di contrastare il contrabbando. I voli di piantonamento hanno causato in Messico tensione e diffidenza, dopo le molteplici invasioni e accaparramenti di terre da parte degli Stati Uniti. Lo scorso 18 febbraio durante una conferenza stampa, la presidente del Messico Claudia Sheinbaum, ha definito la cooperazione con gli Usa "piccola campagna" e ha posizionato dei posti di blocco, avvalendosi dei membri della Guardia nazionale messicana e dell'esercito, dal ponte internazionale Paso del Norte a Ciudad Juárez per rilevare il contrabbando e flusso del Fentanyl,
Secondo il Presidente Maduro, la lotta al narcotraffico sarebbe solo il pretesto per un massiccio dispiegamento militare statunitense (8 navi, 1 sottomarino nucleare, 1200 missili) al largo delle coste venezuelane.
La cosiddetta "guerra alla droga" di Washington è smascherata dai fatti: gli USA mantengono 7 basi militari in Colombia con tecnologia avanzata e la produzione di cocaina negli anni è triplicata proprio intorno alle loro installazioni; l'87% della droga passa per l'Oceano Pacifico (sulla rotta Colombia-Ecuador) e quel poco che tenta di transitare dal Venezuela (il 5% del totale) viene regolarmente sequestrato dalle Autorità di Caracas. Secondo i dati delle Nazioni Unite, il Venezuela rappresenta un territorio libero dalla droga, con sequestri record pari a 51.000 kg nel 2025.
Stando alla testimonianza di Pino Arlacchi, che è stato alla guida dell'Unoc, l'agenzia antidroga e anticrimine dell'Onu: "La collaborazione del Governo venezuelano nella lotta al narcotraffico era tra le migliori dell'America Latina. Il Paese era pieno di problemi, ma era del tutto estraneo al circuito della produzione, del traffico e perfino del consumo di droghe pesanti. Dati di fatto assodati che oggi, nella delirante narrativa trumpiana del"Venezuela narco-Stato", sostanziano una calunnia geopoliticamente motivata. Le analisi che emergono dal Rapporto mondiale sulle droghe 2025 dell'organismo che ho avuto l'onore di dirigere, raccontano una storia opposta a quella spacciata dall'Amministrazione Trump, che smonta la montatura costruita attorno al Cartel de los soles venezuelano, una supermafia madurista tanto leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce d'intervento militare contro un Paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta. Il rapporto Onu 2025, appena pubblicato, è di una chiarezza cristallina, che dovrebbe imbarazzare chi ha costruito la demonizzazione del Venezuela. Il documento menziona appena il Venezuela, affermando che una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il Paese nel suo cammino verso Usa ed Europa. Il Venezuela, secondo l'Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di foglia di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali. Il documento non fa altro che confermare i 30 rapporti annuali precedenti, che non parlano del narcotraffico venezuelano perché questo non esiste" 1.
Oltre ad essere tra i principali consumatori di droghe nel mondo, i servizi segreti statunitensi hanno da sempre utilizzato il traffico di stupefacenti nel mondo come arma geopolitica, dal porto di Marsiglia, alla mafia siciliana, al Triangolo d'Oro nel Sud-Est asiatico, al finanziamento dei Contras in Nicaragua e dell'UCK in Kosovo, all'esportazione di cocaina dall'Afghanistan.
Quando Gary Webb, un intraprendente e coraggioso giornalista investigativo del Mercury News di San Jose, pubblicò la vera storia nell'agosto del 1996, firmò la sua condanna a morte. Webb aveva speso un anno a scoprire lo sporco segreto del crack di cocaina e di come si fosse diffuso a Los Angeles. L'articolo in tre parti era intitolato "L'Oscura Alleanza" e faceva nomi - specialmente di ex personaggi di rilievo del movimento Contra appoggiato dalla CIA. Il suo giornale dedicò anche un sito web alla serie di articoli e pubblicò copie elettroniche di importanti documenti di conferma. Gary Webb aveva divulgato l'indivulgabile, esprimendo una semplice verità - per di più, ben risaputa da molti giornalisti, politici, accademici, ufficiali militari, personale dell'intelligence ed altre persone addentro da decenni: la CIA era impegnata nella distribuzione di enormi quantità di droghe illegali. Un'evidenza che gli costò la vita.
Attualmente, la minaccia ha raggiunto un livello storico. In quindici anni, la produzione mondiale di cocaina è aumentata da 1.024 tonnellate nel 2007 a 2.700 tonnellate nel 2022, con un balzo del 164%. Su scala europea, questo mercato è stimato in 31 miliardi di euro e tutti i Paesi della UE ne sono interessati. Ma i Paesi Bassi e il Belgio occupano un posto speciale nella geografia del traffico di droga. Una graduale evoluzione nel corso di diversi anni ha spostato l'epicentro della cocaina dalla Spagna, dove è arrivata in gran numero negli anni '90, ai principali porti del Mare del Nord. Oggi, Rotterdam e Anversa occupano una posizione strategica come Paesi di transito, al crocevia del traffico nel cuore del Continente e i due porti sono diventati la principale porta d'accesso per la cocaina in Europa.
Un grande problema, al quale il Venezuela è evidentemente estraneo.
1 Pino Arlacchi, Il narco-Venezuela: la grande bufala, "Il Fatto Quotidiano", 30 agosto 2025.