29/07/2025 strategic-culture.su  6min 🇮🇹 #285635

 L'Espagne, l'Irlande et plus de 20 pays se réunissent pour des mesures concrètes contre Israël

Il Summit di Bogotà, la rivolta contro l'impunità di Israele e un problema di Diritto

Lorenzo Maria Pacini

La battaglia viene combattuta su un campo che deve essere scelto dai combattenti; se lo si lascia scegliere al nemico, c'è il rischio di essere completamente sconfitti con un gigantesco bluff

Bogotà e il ruolo del Sud Globale

Il 15-16 luglio, oltre 30 Paesi si sono riuniti a Bogotá per il Vertice d'Emergenza del Gruppo dell'Aia, la più ambiziosa iniziativa multilaterale finora per denunciare il genocidio di Gaza da parte di Israele e l'impunità sistemica che lo protegge dal 1948.

Il fatto che l'evento si sia tenuto in Colombia è emblematico, perché sotto il presidente Gustavo Petro, il Paese ha rotto con la tradizionale subordinazione agli Stati Uniti, assumendo una posizione apertamente anti-imperialista e filo-palestinese.

Mentre gli USA hanno minacciato sanzioni e accusato la "strumentalizzazione del diritto internazionale", Bogotá ha difeso apertamente la relatrice ONU Francesca Albanese e il sistema multilaterale. La presenza di Paesi europei come Spagna e Portogallo - che hanno criticato duramente Israele - segnala una crescente spaccatura anche in Europa. Madrid ha interrotto accordi militari con aziende israeliane e riconosciuto ufficialmente la Palestina.

Il summit ha denunciato crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania: oltre 57.000 civili uccisi, uso della fame come arma, attacchi a ospedali, apartheid e confisca delle terre. L'occupazione è stata qualificata come violazione del diritto internazionale secondo la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ).

In una dichiarazione congiunta, il Gruppo dell'Aia - un'alleanza di otto Stati creata a gennaio con l'obiettivo di coordinare azioni internazionali contro Israele - ha celebrato "provvedimenti senza precedenti per fermare il genocidio a Gaza".

I dodici Paesi firmatari, scelti tra una trentina presenti al vertice, si sono impegnati a non fornire né trasportare armi, carburanti o attrezzature destinate alle forze armate israeliane, vietando anche l'uso dei propri porti alle navi che trasportano questi materiali. Oltre a limitare i rifornimenti all'apparato militare israeliano, le nazioni partecipanti hanno anche promesso di rivedere i contratti pubblici per impedire che fondi statali finanzino "l'occupazione illegale dei Territori Palestinesi da parte di Israele".

"Non siamo qui solo per discutere, ma per agire con chiarezza giuridica, etica e politica di fronte a una delle più gravi sfide morali del nostro tempo," ha dichiarato Rosa Yolanda Villavicencio, ministra degli Esteri ad interim della Colombia. All'evento hanno partecipato soprattutto delegazioni provenienti dal Sud globale, in particolare da America Latina, Africa e Asia, ma erano presenti anche due Paesi europei: Irlanda e Spagna.

Il vertice è stato anche il primo incontro ufficiale del Gruppo dell'Aia dalla sua fondazione; secondo quanto riportato sul sito ufficiale, i membri sono: Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia, Senegal e Sudafrica. Sei di questi Stati hanno firmato la dichiarazione finale, mentre Honduras e Senegal non hanno formalizzato i loro impegni. Hanno invece aderito formalmente anche Indonesia, Iraq, Libia, Nicaragua, Oman e Saint Vincent e Grenadine. Potenze come Cina, pur sostenendo gli obiettivi, non hanno firmato, probabilmente per interessi economici. Il successo dell'iniziativa dipende ora dalla sua capacità di influenzare i grandi attori globali come Cina, India e Brasile.

Parlando ai delegati, Petro ha definito il vertice un successo: "Siamo venuti a Bogotá per fare la storia... e l'abbiamo fatta."

La missione israeliana presso l'ON, di contrappunto, ha definito l'incontro "una farsa morale", aggiungendo che "la guerra non finirà finché gli ostaggi saranno trattenuti a Gaza".

Il summit di Bogotá ha forse avuto la pretesa di porsi come una sfida diretta all'ordine internazionale post-1945, accusato di servire solo gli interessi occidentali, ma il problema resta proprio l'adesione a quell'ordine, con l'illusione di poterlo cambiare dall'interno.

Un problema di principio e uno di strategia

Sia chiaro, l'Aia non è garanzia di niente: è un tribunale che si è dimostrato parziale tantissime volte, rimanendo in silenzio davanti ai crimini pandemici, per esempio, o alle vicende che hanno interessato e che interessano molte popolazioni e Paesi che sono vittime dell'imperialismo occidentale. Allo stesso modo, come più volte illustrato, il Diritto Internazionale è uno spauracchio che viene arbitrariamente utilizzato a discrezione di poche potenze mondiali. I presunti "valori universali" e "diritti" sono un costrutto giuridico che viene fatto valere a tempi alterni, a seconda dei casi, non un qualcosa di veramente vincolante.

Questa è la realtà, e gli esempi a supportarla li troviamo anche nella causa Palestinese, come in tanti altri casi.

Perché qui c'è anche un problema di coerenza e di strategia: le istituzioni de L'Aia da quanto si occupano del genocidio in Palestina? Da quando le fa comodo per seguire un certo trend. Da quanto i politici, gli osservatori e gli esperti si stracciano le vesti per l'indignazione, sollevando la voce e condannando i crimini? Poco, molto poco, con rare eccezioni negli anni passati, ma sempre restando all'interno di un "politicamente corretto" bilanciato. Né la Corte Internazionale di Giustizia, né la Corte Penale Internazionale si sono fatte paladine della giustizia.

Entrambi, infatti, sono istituzioni occidentali, create da quello stesso sistema che spesso viene denunciato e contro cui adesso si cerca di combattere proprio attraverso le stesse istituzioni del sistema - in una sorta di bias cognitivo collettivo.

La Corte Internazionale di Giustizia è stata fondata dalle Nazioni Unite, in quanto suo organo giudiziario principale, nel 1945, con la firma della Carta, entrando in funzione nel 1946, ed è parte integrante dell'ONU. La sua capacità di dirimere controversi fra gli Stati e fornire pareri legali influenti per l'Assemblea non pare sia servita a risolvere niente.

La Corte Penale Internazionale è nata con lo Statuto di Roma nel 1998, diventando operativa nel 2002, collabora con l'ONU seppur non ne sia parte integrante, ed è controllata formalmente dai 123 Paesi firmatari (fra cui non figurano USA, Israele, Cina, India e Russia). Anche questa Corte non pare essere riuscita a compiere granché.

Perché, dunque, l'opinione pubblica viene mossa verso una sorta di fiducia quasi cieca verso istituzioni come queste? Come mai le istituzioni internazionali, espressione del globalismo e dell'egemonia occidentale, vengono sacralizzate quando possono fare comodo, fino a dimenticare la loro vera essenza?

Narrazioni di questo tipo risultano convenienti per il sistema globalista stesso, che mantiene il controllo sulla percezione (=cognitive warfare) della realtà e amministra il ciclo emotivo che permette di costruire e consolidare le opinioni della gente. Gestire le informazioni (=infowarfare), non dimentichiamocelo, è una delle cose più importanti oggigiorno.

Per quanto sia utile e positivo parlare dei problemi e dei crimini che avvengono, come nel caso della Palestina, non bisogna però dimenticare il modo e lo scopo per cui ciò viene fatto. Anche perché queste istituzioni, canali e piattaforme potrebbero ritorcersi contro da un momento all'altro, facendo crollare i castelli di carta su cui sono state poggiate le credenze di molte persone. E allora cosa accadrebbe?

La battaglia viene combattuta su un campo che deve essere scelto dai combattenti; se lo si lascia scegliere al nemico, c'è il rischio di essere completamente sconfitti con un gigantesco bluff.

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